Avanti tutte!

  • 2 anni fa
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Sto vivendo un’esperienza, ancora in corso, di alta formazione alla School of Management di Milano, nella quale la presenza femminile è ben nutrita (circa il 35% degli studenti in aula).

Io, unica siciliana, unica nel settore immobiliare, ma come al solito carica di entusiasmo e vogliosa di migliorarmi sempre. Confrontandomi anche con alcune colleghe del corso, avverto una forte spinta proveniente dal settore femminile. Un ricambio non solo generazionale, ma soprattutto mentale, culturale, un sentimento di rinascita di questo Paese che non può che venire dal sesso femminile.

Le donne sono state assenti per secoli dalle posizioni di comando, adesso stanno conquistando il loro spazio e tentando di modificare l’ordine delle cose. C’è però una tendenza allarmante, che arriva neanche a dirlo dagli U.S.A., ma sta prendendo piede anche qui in Italia. Da una ricerca americana, sembrerebbe che sempre più donne con ruoli importanti, in aziende private, decidano di rimettersi sul mercato del lavoro invece che rimanere bloccate in un’ascesa impossibile all’interno della loro azienda. Invece di accontentarsi del massimo livello che viene loro consentito, preferiscono rinunciare e cercare nuove opportunità altrove.

In Italia c’è un’alta incidenza di stress da lavoro tra le donne, dovuta a discriminazioni al lavoro e in casa, a culture lavorative non inclusive, alla tenace disparità di genere nella crescita professionale. Le donne lasciano le loro aziende non per uscire dal mondo del lavoro, ma per trovare aziende e posti di lavoro più in linea con quello che cercano. Una tendenza preoccupante, che ci riporta indietro in termini di inclusività e parità di genere.

Secondo alcuni esperti, la ricetta per uscire da questa situazione è:

• aumentare la flessibilità lavorativa, in termini di luogo e orari, focalizzandosi sui risultati e non sulle ore lavorative. Questo è un modo efficace per assicurare il benessere di chi lavora, costruire un rapporto solido e basato sull’effettiva valorizzazione del singolo;

• investire e dare più supporto e training a manager e staff. Quando le aziende riescono a creare una cultura lavorativa equa e inclusiva, la percentuale di abbandono diminuisce. Bisogna quindi riconoscere il tempo investito dai manager nella gestione e nella crescita dello staff, valutando i risultati anche in termini di diversità e inclusione, rendendoli criteri di valutazione e incentivi per la promozione;

• creare una cultura lavorativa che riconosca e premi il talento a tutti i livelli. Avendo quindi la lungimiranza di supportare e premiare le persone, e in molti casi sono giovani, che hanno il coraggio di proporre modi di lavorare al di fuori dei vecchi schemi, capaci di immaginare il futuro lavorativo invece che di omologarsi al presente, di mettere in questione lo status quo e di guidare la transizione delle aziende verso una cultura lavorativa equa, innovativa, inclusiva e sostenibile. Condivido totalmente e mi riconosco completamente in questo approccio.

Premiare il talento, investire sulla formazione continua e l’iniziativa individuale, sperimentare forme flessibili di lavoro. È quello che, da sempre, fa Re/Max nel mondo e noi con Arteka.

Sempre più convinta di star facendo i passi giusti.

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